Un vero ragioniere: dalla Pirelli all’imprenditoria

Mio nonno

Nacque nel mantovano vicino al Po, ma si trasferì con la famiglia a Milano, in cerca di una vita migliore. Tanti sceglievano il capoluogo lombardo essendo uno dei principali poli industriali italiani. Qui si diplomò in ragioneria e trovò impiego in Pirelli, ma scoppiò la guerra. Egli allora entrò nell’aviazione regia dove venne però catturato a Parma dai nazisti e portato in un campo di concentramento a Dortmund, in Germania. Il lavoro e le condizioni erano terribili, tutti gli internati pativano sofferenza e fame, costretti a subire esperimenti su di loro e a mangiare bucce di patate o altro pur di sopravvivere. Ciò certamente arrecò gravi danni alla loro salute psico fisica e all’intestino. Lui comunque riuscì con un suo compagno ad evadere e tornò in Italia. Terminata la guerra, nonostante fosse duramente provato s’iscrisse alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano e riprese il lavoro in Pirelli. Conseguì degli esami, ma non terminò gli studi avendo già un’ottima posizione lavorativa nella multinazionale di gomme. Conobbe mia nonna e si sposò. L’azienda gli chiese di trasferirsi per lavoro a Bologna dove diede alla luce due figli: Lucia e qualche anno più tardi mio padre. Il lavoro in Pirelli lo tenne impegnato a lungo tant’è che tornava a casa dalla moglie e i figli solamente il fine settimana e di tanto in tanto si concedeva con loro qualche vacanza: sul Garda, in Svizzera, a Vienna, Parigi ecc. Presso l’azienda milanese intrattenne rapporti con diverse persone in tutt’Italia, in Europa e nel mondo. Negli anni del boom l’economia andava a gonfie vele così che la famiglia si potè permettere una vita agiata e ottimi studi. Fece investimenti e decise di concludere il rapporto da dipendente in Pirelli dopo 25 anni di carriera scegliendo di mettersi in proprio. Forte di legami coltivati presso la multinazionale, si trasferì a Modena dove aprì assieme a dei soci una S.p.A di gomme dove lui ne era l’amministratore unico. Si appoggiò alla Pirelli e dirigeva anche delle filiali della società da lui fondata. Purtroppo il suo sogno imprenditoriale svanì quando scoprì di essere malato di un cancro all’intestino. Abilmente lasciò con dedizione e accuratezza i suoi beni alla moglie e ai figli nella speranza che potessero continuare la sua attività. Spirò in un freddo giorno di febbraio del 1970 e così si concluse una vita benestante. Non aveva, a differenza del fratello Adolfo anch’egli dipendente in Pirelli e della moglie e dei figli, doti artistiche. Era dedito al suo lavoro con passione se non fosse per quel carcinoma che lo portò via così come tutti coloro che erano finiti durante la guerra in quel maledetto campo di lavoro di Dortmund.

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